venerdì 21 settembre 2012

Cronache Cinesi 2012 - Un po' di Chan.

Tra le varie attività extra di quest'anno ci sono state alcune interessanti parti riguardanti la filosofia Chan (o Zen, chiamatela come preferite, si parla comunque sempre della stessa cosa).
Alcune sono state casuali e molto "familiari" svoltesi andando la sera dopo cena nella stanza del Monaco Shi Xing Qiu a bere del tè, altre facevano parte delle lezioni serali (sempre nel dopocena), altre ancora del tutto inaspettate come il giorno in cui il Coach ha regalato ad alcuni di noi una calligrafia con una sorta di "poemetto" riguardante la Pratica.
Avere questo genere di conversazioni, o anche semplicemente ascoltare, è sempre qualcosa di estremamente interessante.
Interessante perchè aiuta a scoprire qualcosa di una Cultura diversa dalla nostra, perchè aiuta a capire meglio alcuni aspetti di qualcosa, la Pratica, che ci coinvolge in prima persona (altrimenti non saremmo stati lì). Ma soprattutto perchè aiutano a pensare, a riflettere, ad approfondire, a trarre conclusioni.
Quel che segue sono dei miei liberi flussi di coscienza non per forza corretti, non per forza condivisibili. Magari qualcuno più esperto potrà trovare molti errori in queste mie parole. In tal caso mi piacerebbe discuterne, per capire, per pensare.
Nel Chan c'è sempre qualcuno, il Maestro o chi per lui, che ti fa aprire gli occhi facendoti venire a conoscenza che "c'è qualcosa da vedere", ma senza mostrarti la via per vedere questo qualcosa. Perchè nell'indicarti la via ti farebbe vedere qualcosa senza farti crescere e sarebbe solo un mero prender atto del fatto senza aver raggiunto nessuna consapevolezza. Sarebbe come tenere tra le mani un involucro vuoto e senza nessun contenuto.
Dunque a questo serve discutere di filosofia, serve ad avere degli spunti che poi ogni singola persona dovrà sviluppare. Posso chiederti "perchè fai questo?" e la tua risposta sarebbe l'esito di un tuo percorso, di pensiero e di vita, ed io potrei arrivare alla stessa conclusione magari, ma attraverso un'altra strada, con altre esperienze. Stesso risultato, diverso percorso. Un percorso mio che ha fatto crescere la mia persona e dal quale potrei attingere per crescere ancora e ancora sotto altri aspetti e in altri campi perchè "ho capito" e non perchè "ho copiato".
Vorrei far partire questa condivisione con alcune parole da parte del Coach.
Un giorno di "big rain" nel quale non potevamo allenarci abbiamo fatto un po' di "kung fu book" e prima di partire con la spiegazione teorica dello svolgimento dei Jibengong ci ha spiegato il perchè di WuShu.
Con WuShu noi intendiamo le Arti Marziali cinesi. Tutte, tutti gli stili e così via.
Credo di averne già parlato da qualche parte dell'aspetto contraddittorio delle Arti Marziali. Dove devi saper combattere per non combattere, dove devi avere nessun limite come limite, dove combattere è qualcosa da fare ogni giorno per ogni aspetto della propria vita, ma con nuove prospettive per affrontare le situazioni.
E questa contraddizione la troviamo anche nel nome. Dove l'ideogramma "Wu" che noi possiamo tradurre con "marziale" è formato da due ideogrammi che significano uno "stop" e l'altro "lancia" uniti diventano (per dirla come il Coach) "no punch". Non combattere.
Allenare le Arti Marziali vuol dire fare uno sforzo di Pratica sia esterna che interna. Allenare solo la parte esteriore, solo parte fisica, quindi, serve ben a poco se non addirittura a niente.
E già questo inizio dovrebbe far pensare. Non che io non abbia mai riflettuto su questo, anzi, viste le mie scarse doti atletiche, mi sono sempre focalizzata su ben altro. Per me le Arti Marziali sono sempre state un "più", un qualcosa che andava oltre le ore di allenamento, qualcosa più simile a uno stato mentale.
Un percorso difficile ed io sono la prima a sbagliare molte cose e molte volte. Non riesco a distaccarmi dalle cose quando dovrei farlo. Ad esempio adesso non riesco ad allontanarmi dal pensiero della Cina, del viaggio, delle persone là e sono in continuo conflitto tra la mia "vita reale" e la mia "vita desiderata". Se avessi davvero imparato alla perfezione a gestire questo non sarei in questa situazione dove passo più tempo a sentirmi fuori luogo piuttosto che ad adattarmi alla realtà che, in qualche modo, devo vivere. Ed è così dallo scorso anno, dal mio primo viaggio in Cina. Per questo, dico, non è facile. E probabilmente sono più le volte che cadi nel tentare che quelle in cui superi indenne la cosa. Ma, comunque, in qualche modo devi rialzarti. E se, quindi, da una parte sbaglio, dall'altra qualcosa ho imparato. Ho imparato a rialzarmi e a cercare di stare in piedi nel miglior modo possibile.
L'ultima domenica alla Scuola, mentre aggiornavo il diario di viaggio, il Coach mi ha chiamata nella sua stanza. Mi ha regalato una calligrafia.
Non una di quelle enormi, una su un foglio piccolo di carta di riso.
Su questo foglio scritto alla cinese e cioè da destra verso sinistra e dall'alto verso il basso (piccola curiosità: sapete perchè i cinesi scrivono in questo modo? Perchè la scrittura occidentale da sinistra verso destra e orizzontale, quando letta, è un continuo dire "no", mentre leggendo dall'alto verso il basso, come fanno i cinesi, è come un continuo dire sì; da questo punto di vista è un approccio meraviglioso) dicevo, sul foglio ci sono i vari stampi con il nome di Du, l'anno, e lo stampo del Tempio Shaolin, poi la scritta "Shaolin kung fu", il mio nome, l'anno e il luogo. Ma la parte più importante è il poemetto che c'è scritto. All'inizio pensavo che ne avesse fatto uno uguale per tutti. Poi ho scoperto che, invece, era personalizzato per ognuno di noi al quale lo ha regalato. Non so, sinceramente, se il poemetto fosse già stato scritto in precedenza da qualcuno o dal Coach stesso, ma non è questo l'importante. Quel che importa è che quando lui ha scritto queste cose lo ha fatto pensando alla persona alla quale lo avrebbe dato.
Risulta un po' difficile tradurre tutto quel che c'è scritto (anche perchè vi ricordo che io non conosco il cinese e che Du parlava ben poco inglese), ma la sostanza è, come sempre, arrivata.
Dice che il Kung fu è un interscambio di tecniche, armi, forme, colpi e che, visto dal di fuori, all'apparenza, potrebbe sembrare frivolo e superficiale, ma che chi Pratica seriamente e con impegno sa che prima di tutto Kung fu vuol dire imparare il rispetto, l'amore, il condividere.
Io non so che cosa l'abbia portato a voler scrivere proprio a me questo. Certo più volte si era stupito di come stessi agli scherzi e alle battute dei ragazzi (cosa che a me sembrava più che normale), e me l'aveva anche detto, che era bello che mi mettessi così in gioco.
Ma di certo non avrei mai pensato ad una cosa del genere.
Specialmente perchè conoscendomi ben poco ed avendo anche parlato ben poco lui mi ha scritto una cosa per me importantissima, una cosa sulla quale io ho sempre insistito quando parlavo della Pratica, ed ho insistito così tanto su questo aspetto da volerci scrivere sopra una tesi di laurea. La mia tesi di laurea. E questo tizio cinese, mai uscito dal suo paese, ha riassunto le 111 pagine di tesi in un foglio più piccolo di un A4. Ha riassunto 9 anni della mia vita. Ha, da un certo punto di vista, riassunto e capito me.
Per questo io dico sempre che è assurdo pensare "ah che tristezza questi cinesi non conoscono niente del mondo, vivono lì e non sanno che al di fuori esiste altro" o, ancor peggio, "che tristezza, come sono arretrati, qua viviamo meglio". Mi chiedo con quale e quanta presunzione ci arroghiamo il diritto di definirci "superiori". Perchè, è vero, magari lui potrà non conoscere cose semplici della vita occidentale, potrà non aver mai visto un tram, potrà non saper risolvere un'equazione, non conoscere tutte le teorie sociologiche, la storia, l'economia, non avere idea di che cosa siano lo spread, la borsa. Ma quanti di noi possono dire di poter capire le persone? Quanti possono dire di avere una conoscenza profonda e totale di quello che è il loro mondo? Lui vive in una piccola realtà che è quella del Tempio, è vero, ma di quella realtà sa. Io della mia realtà non so quasi nulla.
Perchè dovrei dirgli "hey, la realtà occidentale è migliore di questa"? Se mi chiedesse "e come sarebbe questa realtà?" cosa potrei mai rispondergli? Che non sputiamo sui tavoli le ossa, che non succhiamo i noodles, che abbiamo cibo più buono, macchine più belle? Poi non arriviamo a fine mese, non abbiamo un lavoro, passiamo il tempo a vivere per sopravvivere invece che a vivere per vivere. Davvero potrei dirgli che siamo migliori?
Che poi la Cina abbia i suoi lati oscuri si sa e non voglio di certo negarlo o esaltarlo. Ma perchè la nostra società, invece, è limpida? Siamo i paesi del primo mondo che ancora vanno a fare le guerre e non ne sappiamo nemmeno la vera ragione. E parlo non avendo mai sbandierato nessuna idea pacifista, per la cronaca.
Davvero, ditemi, in che cosa siamo superiori? Perchè lui, se glielo chiedessi, magari mi risponderebbe di essere felice, di essere ok lì dove sta. Io no. Io non potrei dargli una risposta del genere.
E questo porta ad un altro pensiero lanciatoci lì da Jackie una sera durante una lezione del dopocena.
Ci ha raccontato due storie Chan.
Storie che magari conoscete anche se raccontate con diversi particolari (o ambientazioni) ma con lo stesso significato.
La prima parla di un Maestro e di un suo allievo. I Monaci non possono avere contatti con le donne (contatti in sensi più profondi del semplice toccare/sfiorare etc). Dopo una grande pioggia i due si recano in città. Durante questo percorso incontrano una donna su un ponte e diventa difficile per tutti e tre passare. Allora il Maestro prende la donna in braccio e la porta dall'altra parte dopodichè torna accanto al suo allievo e riprendono il cammino.
Durante tutto il percorso l'allievo resta pensieroso e va avanti così fino a sera quando, incapace di trattenersi oltre, interroga il Maestro.
Gli chiede perchè, sebbene fosse a conoscenza delle regole, avesse portato in braccio quella donna. Il Maestro, osservando il suo allievo, gli risponde che nel fare quel gesto lui era stato capace di andare oltre, mentre l'allievo stava ancora portando con sè il pensiero di quella donna.
La seconda parla di due mani e delle loro dita. Ogni dito ha una diversa funzione. Un giorno le dita combattono tra di loro per decidere chi sia, alla fin fine, il dito più importante. Il pollice dice di essere il più importante in quanto il più grande e forte di tutta la mano, l'indice perchè "indica", il medio perchè il più alto, l'anulare perchè è il dito sul quale si porta l'anello del compromesso. Ed infine arriva il mignolo. Le altre dita gli dicono che, essendo il più piccolo, è anche il meno importante. Lui risponde che non è vero perchè quando si prega Buddha è lui il più vicino.
Cosa vogliono dire queste due storie?
Due cose molto importanti e che spesso vengono dimenticate. Due insegnamenti che andrebbero tenuti a mente e, invece, molto spesso sono trascurati. Due insegnamenti importanti, ma difficili da seguire. Ed io sono la prima a dimenticarmene, a non seguirli. Li conosco, ma non li ho ancora percorsi.
La prima storia c'insegna come sia facile "tirar su" le cose, ma molto più difficile "metterle giù" e cioè lasciarle andare. Nella nostra società è difficile capire come risolvere le cose, come trovar la soluzione perchè, come dice il Chan, si può vedere bene nell'acqua quando è ferma, non quando è mossa. E noi non siamo capaci di fermare l'acqua e stare ad osservare. Siamo sempre in preda a pensieri, preoccupazioni, impegni e non ci fermiamo mai. Non ci fermiamo ad osservare per bene i nostri problemi, non siamo capaci di "lasciar andare" le cose. Ed è così che, in qualche modo, non siamo nemmeno capaci di guardare noi stessi perchè, esattamente come accade per i nostri problemi, anche l'osservazione del proprio sè può avvenire solo quando l'acqua è ferma. Non possiamo vedere il nostro riflesso nell'acqua che scorre.
La seconda storia insegna come tutti siamo a nostro modo importanti. Nessun dito è più importante dell'altro, dipende dalla funzione e così per le persone. Ognuno ha qualcosa d'importante. Andando in tre uno potrà sempre insegnare qualcosa agli altri due e dagli altri due apprendere.
Non esiste la perfezione, questo è solo il nostro sogno di realizzazione.
Questo post sta assumendo proporzioni titaniche, ma mi sembra ingiusto fermarmi così a metà.
Diciamo che fondamentalmente poter davvero riassumere tutte le parti filosofiche sia pressochè impossibile perchè capitavano spesso, anche in modo casuale, e, molto spesso, svanivano così come erano arrivate ed avevano un senso nel contesto nel quale erano state pronunciate. Quindi è davvero un'impresa titanica provare a scrivervele tutte.
Questo è solo un assaggio. E magari sembreranno comunque parole buttate al vento, ma, vi assicuro, lì, in quel momento, avevano il loro perchè. E per me ce l'hanno ancora adesso. Se non altro per spunti di riflessione, spunti per migliorare. Prima o poi.
All'inizio del post ho accennato al tè nella stanza di Shi Xing Qiu.
Lui è l'attuale autista dell'Abate.
Non voglio mettermi a parlare dell'Abate nello specifico e di come questa figura porti con sè opinioni contrastanti tra di loro (c'è chi dice che sia solo un affarista e che abbia portato il Tempio Shaolin ad essere una mera attrazione turistica, un'affermazione non del tutto negabile, ma, io vorrei anche far notare che, probabilmente, senza questa mossa di marketing ora, forse, il Tempio magari non sarebbe chiuso, ma di sicuro sarebbe in una condizione non proprio felice...).
Essere diventato l'autista dell'Abate non lo ha reso un inetto, lo ha semplicemente reso più impegnato.
Nonostante questo ha trovato il tempo per poter stare con noi sia la sera del tè sia quando ha tenuto una lezione alle Paludi della Tristezza.
Parlare di filosofia con lui aveva due limiti. Il primo era quello della lingua visto che tutti i discorsi subivano la mediazione della traduzione da parte di Jackie. Il secondo eravamo noi occidentali perchè il doverci mettere a parlare di filosofia rendeva la nostra testa una sorta di tabula rasa interrotta ogni tanto da qualche domanda stupida.
La prima domanda stupida è stata quella di chiedergli come fosse arrivato al Tempio. Lui ha risposto di essere arrivato lì per seguire l'onda del successo dei film di Kung Fu. Una risposta che ci ha lasciati un po' basiti perchè era...come dire...così occidentale. Lui era arrivato lì con la stessa motivazione che aveva spinto molti occidentali ad avvicinarsi alle Arti Marziali.
Allora, abbiamo capito, sono davvero reali le parole del Gran Maestro Shi Suxi nel dire che le persone "si avvicinano alle Arti Marziali per il Wu (la parte marziale), ma restano per il Chan (la parte filosofica)".
La seconda domanda è stata quella di chiedergli se lui avesse dei discepoli. La sua risposta è stata "no" e noi, imperterriti ed incuriositi, gli abbiamo chiesto il perchè di questa sua scelta.
E lui ha spiegato che avere dei discepoli avrebbe cambiato le cose, lo avrebbe "elevato" ad uno status più alto e si sarebbe persa quell'aria di confidenzialità. A lui non interessano titoli o riconoscimenti. Quel che gl'interessa veramente è poter parlare tranquillamente con le altre persone senza dover per forza essere riverito. Poter discutere da pari a pari.
Perchè prima di voler far grandi cose bisogna imparare ad essere "good people". E questo non va in conflitto con la storia che ho raccontato poco più su perchè con la sua espressione di dover essere "buone persone" non intendeva certo il santone o l'illuminato, intendeva semplicemente essere una persona di sani principi perchè "even common people can be master, in little and common things you can learn great lessons" anche le persone comuni possono essere maestri, nelle piccole e comuni cose puoi imparare delle grandi lezioni. Ed è questo che era lui mentre con il suo tono pacato ci spiegava in cinese queste cose servendoci il tè. Era un uomo, non un Maestro come lo intendiamo noi, era un comune uomo che parlava con quelli che, vuoi per un motivo, vuoi per un altro, erano in qualche modo la sua Famiglia.
Ed è per questo che dico che è difficile parlare di filosofia.
Perchè lì tutto era filosofia.
C'era filosofia nel vecchietto seduto al bar che se estraevi la macchina fotografica si metteva in pose marziali, c'era filosofia nell'osservare i ragazzini delle altre scuole, c'era filosofia nell'imparare ad adattarsi alla situazione, c'era filosofia nel cercare d'interagire con la figlia del cuoco.
Nell'allenamento c'era tantissima filosofia.
Imparavi ad andare avanti, ad insistere.
Il mio essere finalmente riuscita a fare la caduta in avanti senza prima dialogare con me stessa per mezz'ora è, in qualche modo filosofia, perchè ho insegnato alla mia mente a superare questo mio blocco. Lo era anche riuscire ad arrivare fino alla Damo Cave senza mollare tutto e fermarmi a metà strada sebbene i muscoli delle gambe implorassero pietà.
Là, ancor più che qua, l'allenamento era filosofia perchè ogni cosa era estremizzata. Qua devo dare il massimo per 2 ore ogni sera in palestra, là erano 6 ore di allenamento al giorno e dovevi dare il massimo ad ogni minuto che passava. E questo ti fa crescere. Perchè quando inizi ad essere dolorante, magari anche infortunata (caviglia docet) e i giorni si accumulano devi imparare a tirar fuori quel qualcosa in più.
E lo fai quando ti svegli alle 5 della mattina sapendo di dover andare a fare le scalinate, lo fai nei 5 minuti di mabu quando già dopo il primo ti tremano le gambe e tutto quello che vorresti fare è alzarti e metter fine a quello strazio. Lo fai quando riesci ad insistere e resistere. Quando stai facendo la carriola nel vicolo davanti alla Scuola e all'inizio del secondo giro ti fermi un momento perchè stai morendo e il Coach ti dice "ok, you go there and you stop" e tu gli rispondi "no. I can" e completi il giro. Lo fai quando per la sesta volta consecutiva perdi alla morra cinese e devi correre anche se sei sfinito, ma lo fai lo stesso. Lo fai quando sei al limite e il tuo compagno, il tuo amico, vicino a te è nella tua stessa identica situazione ma trova comunque la forza per dirti "dai resisti, manca poco". E tu resisti e questo lo devi anche lui. E' filosofia la condivisione. Di qualsiasi cosa. Della fatica, della forza, dei momenti.
Perchè c'era filosofia anche al di fuori dell'allenamento. Quando ci si sedeva tranquilli sulla terrazzina a parlare o nelle pause dagli allenamenti o alla sera.
A volte si era in due ed allora i temi erano un po' meno futili e si parlava con l'altra persona del "dopo" (del rientro) e si tiravano fuori i timori per quanto potessero sembrare stupidi. Che poi tanto stupidi non possono essere se in qualche modo ti fanno paura. E ci si ascoltava, magari non si avevano risposte, ma si poteva condividere questo peso. Alla fine parlare delle proprie paure è, in qualche modo, una cura per l'animo.
Filosofia è anche questo, è allenare la mente. Allenarla a spingere il corpo e lo spirito un po' più in là perchè sai che il limite non è quello, è un passo più avanti. E un passo alla volta avanzi (un viaggio di mille miglia inizia con un singolo passo).
E tutto questo mi fa capire come ci sia, per me, ancora molta strada da percorrere.
Perchè là io riuscivo a vedere il mio riflesso nell'acqua. Qua non ci riesco. Pensieri, ricerca di lavoro, impegni, orari, invio di CV mi fanno andare avanti a testa bassa senza farmi fermare un attimo, senza darmi la possibilità o la forza di fermare l'acqua.
In Cina era tutto più semplice.
Ho imparato a vivere il presente. E di questo son felice perchè così sono riuscita a godermi la vacanza assaporando ogni momento senza essere assillata dall'idea del ritorno. E vivendo il presente era tutto più facile. Non è che sfuggissi ai problemi, ma là non sembravano affatto delle montagne insormontabili. Al massimo erano un'altra Damo Cave da raggiungere. Difficile, ma non impossibile. Sarebbe bastato insistere un po'.
Una volta tornata in Italia questa tranquillità è svanita affogata dalla routine che non riesco a fermare.
E lo so, so benissimo di sbagliare tutto nel vivere così. Perchè se ci riuscivo in Cina dovrei riuscirci anche qua, ma non è così. Non è così semplice. Qua più che il presente vivo i rimpianti del passato che ormai è passato e le paure del futuro. Eppure è il presente ad essere la realtà. Quella sulla quale dovrei costruire il futuro. Un mattone alla volta. "Step by step".
Buona parte delle cose che ho imparato quest'anno le devo a Du, al nostro Coach (o Shifu, Maestro, come lo chiamavamo) perchè nonostante le problematiche con la lingua (superate una volta entrati nell'ordine di idee del suo inglese) aveva davvero moltissimo da insegnare. Senza volersi mai sforzare di farlo, a volte anche a tavola tra una battuta e l'altra.
E devo ringraziare lui se sono cresciuta così tanto in questo viaggio.
Anche il ritorno è stato diverso rispetto allo scorso anno. Non è che sia stato più semplice perchè la Cina mi manca da morire, ma almeno non rischio crisi isteriche andando in giro come succedeva lo scorso anno. Ed è così perchè per la testa continuano a passarmi le sue parole che, in qualche modo, rendono le cose più semplici.
E quindi tra un "easy" un "again" un "this is what?", ma soprattutto, un "you must insist" in qualche modo si va avanti e si cerca di capire.

10 commenti:

  1. Bè Cina o non Cina, tanti questi problemi sono se li pongono nemmeno, e vivono dormendo, no?
    Qualcuno diceva che la consapevolezza è tutto.
    Ti ammiro, brava Sere!

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    1. Bè...in effetti molte persone dormono un sacco...un po' li invidio ;)
      grazie!
      detta da te questa cosa vale molto :)

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  2. Gnagna, ammetto di non aver letto tutto perchè è lunghissimo e io faccio moltissima fatica a leggere al pc cose troppo lunghe, mi viene il mal d'auto (davvero!) quando faccio scorrere la pagina....sono autistica...cmq volevo farti i complimenti per la nuova grafica, finalmenteeeeeeee é strabella, limpida e trasmette tutto il tuo kung fu

    "Perchè dovrei dirgli "hey, la realtà occidentale è migliore di questa"? Se mi chiedesse "e come sarebbe questa realtà?" cosa potrei mai rispondergli? Che non sputiamo sui tavoli le ossa, che non succhiamo i noodles, che abbiamo cibo più buono, macchine più belle? Poi non arriviamo a fine mese, non abbiamo un lavoro, passiamo il tempo a vivere per sopravvivere invece che a vivere per vivere. Davvero potrei dirgli che siamo migliori?" Questo e i pensieri successivi sono gli stessi che ho fatto io il primo anno e che mi ripeto ogni volta che mia mamma,c onvinta anti-cinese, se la prende con gli immigrati venuti qui....insomma, se stanno solo tra di loro un motivo ci sarà no? credo che molti di loro in fondo si siano pentiti di venire qui in italia e trovare una società e una cultura così cafona e mediocre....e che come dici tu, tutte le società hanno i loro aspetti buoni/cattivi...ottimo post, magari me lo stampo così posso leggerlo tutto evitando di vom... sul pc! ;)

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    1. eh eh :)
      mi fa piacere che nonostante la mia prolissità e tutto quanto tu ti sia presa la briga di leggerlo :)
      ecco...meno male che qualcuno condivide. perchè a volte, davvero, mi sembra di parlare dicendo cavolate e non rendendomi conto da sola di star ragionando male. invece leggere un supporto mi tranquillizza un attimo. specialmente se detto da una persona come te che la Cina l'ha vissuta davvero.
      io continuo a pensare, e non riesco a togliermelo dalla testa, che là ci siano molte limitazioni e tutto quello che vuoi, ma che qua in occidente siamo nella stessa identica situazione. abbiamo solo l'illusione della libertà. libertà sotto ogni aspetto. libertà di conoscenza, libertà d'azione, libertà di parola e così via. crediamo di avere queste libertà ma non è così. e fondamentalmente, forse, è anche peggio....

      (ahahahah contenta che la nuova grafica piaccia :D)

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  3. Il tuo prolungato silenzio mi dà da pensare. Tutto bene, sì? Torna, che ci manchi! :3

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