giovedì 22 settembre 2011

Cronache Cinesi - La giornata tipo.

Come mi faceva giustamente notare Boxbuilder in un commento al post "Mal di Cina." non ho aggiornato raccontando qualcosa che non riguardi le condizioni (dis)umane nelle quali ci siamo ritrovati.
Il punto molto semplice per giustificare questa mia mancanza è che non saprei da dove partire esattamente. Molti degli aneddoti più divertenti avrebbero bisogno di lunghissime spiegazioni e sicuramente (come ogni cosa di questo genere) sarebbero difficili da capire per chi non c'è stato. Quindi sarebbe inutile raccontarli, in effetti.
Ho deciso che quindi partirò a raccontare le mie cronache cinesi semplicemente descrivendo una "giornata tipo". Poi sarebbe carino se nei commenti al post ci fosse qualche domanda su qualsiasi cosa tipo "come facevate questo?" o "ma è vero che..?" e cose così, almeno avrò idee per i prossimi aggiornamenti.
La giornata tipo alla scuola.
Alle 5.00 (non sempre in punto perchè il povero ragazzo addetto alla campana aveva qualche problema con la puntualità) suonava la prima campana o meglio, la registrazione di una campana che durava sui 10 secondi circa e veniva trasmessa grazie ad un altoparlante attaccato sul tetto. Questa serve per ricordare a tutti che da lì a 20 minuti ci sarà l'adunata giù nel cortile.
5.20 seconda campana. Tutti in ordine per il saluto.
Inizia così la giornata con il primo allenamento che consiste in una corsa sfiancante verso una meta x decisa di giorno in giorno (a volte capita la scarpinata fino ad una pagoda in cima ad un monte, a volte "semplice" corsa per molti km fino ad un parcheggio) il tutto contornato da altri esercizi come scatti, balzi, quadrupedia ed altri fantastici metodi di tortura.
Nel mentre, chi è rimasto alla scuola, dispone nel cortile il kit di lavaggio dei propri compagni in modo tale che, una volta tornati, possano sciacquarsi e prepararsi per la colazione.
Io ho visto la parte del cortile perchè non mi sono mai azzardata a fare la malefica corsa. Mi sarebbe piaciuto provare almeno una volta ma so benissimo che fare km e km correndo mi avrebbe solo uccisa ed impedito che facessi altro durante la giornata.
6.50 colazione. Saltata anche questa per ben due ragioni: ragione uno mi rifiutavo categoricamente di mangiare riso anche a colazione e, ragione due, da lì in poi c'era un'ora di pausa.
La nostra sveglia in camera suonava alle 7.30 precise. L'addetto alla sveglia era Fra (piccola parentesi: in camera eravamo in 3 perchè avevamo costretto Jackie ad aggiungere un "letto" per evitare che una sola di noi due povere e sfortunate ragazze rimanesse all'appartamento per stranieri; abbiamo, quindi, invaso il regno di Francesco polverizzando lo spazio vitale e riducendolo al minimo indispensabile per passare e raggiungere il letto). Dicevo, la sveglia. Avendo io bisogno, in genere, di metodi di risveglio traumatici mi è stato categoricamente impedito di puntare il mio allarmsveglia. Ogni mattina mi sono svegliata con le note di "A kind of magic" dei Queen.
A dirla tutta vuoi la non abitudine (i primi due giorni) alla scomodità del letto, vuoi la mancanza di qualcosa che impedisse alla luce di entrare, in pochissimo tempo ho sviluppato una perfetta sveglia biologica che mi faceva aprire gli occhi qualche minuto prima dell'orario stabilito.
Una volta realizzato il fatto che fosse arrivata l'ora di alzarsi strisciavo verso la fine del letto (non perchè avessi tendenze da rettile ma perchè i 3 letti attaccati occupavano tutta la stanza e quindi si scendeva dai piedi del letto e dunque dovevo letteralmente strisciare fino a lì). Una volta raggiunta la mia meta e assunta una posizione simil comoda allungavo la mano sul tavolino per afferrare la colazione (sì senza la dose di caffeina vado avanti grazie a degli automatismi...). I magnifici biscotti fornitici dal "colonnello" (il negozio davanti alla scuola pieno zeppo di cose dai biscotti ai noodles, dall'acqua al dentifricio, dalle scarpe ai gelati, da cose non identificabili alle prese elettriche e così via) erano la prima cosa con la quale entravo in contatto di prima mattina dopo aver sbiascicato un "buongiorno" ai miei compagni di ventura. Finito il rituale dei biscotti subentravno gli altri automatismi: amuchina, lenti a contatto, attesa del turno per andare in bagno, vestizione per l'allenamento.
7.50 prima campana per avvertire dell'inizio delle lezioni. Si tergiversava ancora qualche minuto in stanza per prendere l'indispensabile (felpa se faceva freddo, bottiglia d'acqua, armi) e poi ci si avviava verso le scale per scendere nel cortile.
Una volta giù gamba sul muretto e stretching per intavolare qualche relazione pubblica con gli altri cercando di risvegliarsi.
8.10 seconda campana e quindi tutti in ordine per il saluto. Finito il rituale nel quale (con un metodo a me incomprensibile) i ragazzi delle varie classi si contavano, ogni classe si spostava nella propria zona di allenamento.
Noi eravamo nella classe degli intermedi sotto la guida di Coach Li (Li Jiaolian per dirla in cinese così faccio vedere di aver imparato qualcosa in queste 3 settimane) ed eravamo ubicati di fronte alla mensa.
Di nuovo gamba sul muretto (o aiuola rialzata o quel che era) per circa 10 minuti dopodiché ci si posizionava in file da 4 persone e si cominciava a camminare in cerchio per una parte del cortile sciogliendo le articolazioni. In genere dopo 5/6 giri camminando il Coach dava il via alla corsa leggera per riscaldare un po' i muscoli.
Il dramma di questa corsa era che si doveva fissare per bene dove si mettevano i piedi per non rischiare di centrare qualche pietra appuntita e quindi si rischiava costantemente di finire addosso a qualcuno.
Finita la corsa stretching un po' più serio su un muretto più alto.
Dopo questo si ripristinavano le file da 4 e si procedeva con vari esercizi tra calci, scioglimenti di articolazioni, scatti e cose simili ai fini di riscaldarsi.
Infine la prima lezione della mattina si concludeva con 3 file allungate ed altri esercizi che variavano a seconda delle giornate. Più che altro posizioni e lavori di anca o calci.
Verso le 9.20 suonava la campana, il Coach ci richiamava e tutti in ordine lo salutavamo con la seguente formula (non ho idea di come si scriva la prima parola quindi vado per trascrizione puramente fonetica) "Jiaolian shinku, Jiaolian zaijian" qualcosa tipo "grazie allenatore per la fatica e l'impegno".
Seguivano 20 minuti di pausa nei quali ci sedevamo (termine forse più corretto "svaccavamo") sui muretti/aiuole e parlottavamo del più e del meno fino alle 9.40 quando la campana ci annunciava l'inizio della seconda lezione della mattina.
In questa seconda parte o il Coach ci insegnava una nuova parte della forma o ci faceva ripassare la parte fatta per conto nostro per poi venire a controllarci e correggerci. Questa era una parte dove venivamo un po' lasciati a noi stessi e proprio lì si vedeva l'impegno dei singoli. Potevamo fare così come non fare, dipendeva solo da noi. Qualcuno ha preso questa parte come qualcosa di noioso e di ingiusto perchè non eravamo seguiti. Io credo che, invece, sia stato molto istruttivo dal momento che dipendeva dalla nostra pura volontà e dal nostro impegno allenarci o meno.
Alle 10.50 la campana annunciava la fine della seconda lezione. Alle 11.00 si cominciava a raccogliere il kit per il pasto (scodella fornita dalla scuola con cucchiaio e bacchette) e ci si dirigeva verso la mensa per il pranzo.
Dopo circa mezz'ora, quando avevamo bene o male finito tutti di mangiare (noi stranieri e i Jiaolian mangiavamo in una mensa diversa da quella dei ragazzi) i cuochi chiudevano la porta e da lì eravamo abbandonati verso il nostro destino fino alle 16.00
Generalmente questa parte del pomeriggio viene dedicata ad un sano e sacrosanto riposo traducibile in "recupero delle ore di sonno", ma noi abbastanza spesso finivamo a gironzolare in città. Negozio dei vestiti (divise, magliette, scarpe e pantaloni da allenamento e simili), negozio delle armi, cibo, supermercato, o semplicemente un giro casuale per la solita via principale.
Alle 15.50 suonava la prima campana, alle 16.00 la seconda. Saluto e conteggio.
Nel pomeriggio le lezioni erano suddivise come nella mattinata e quindi la prima lezione era per il riscaldamento ed eventualmente giusto la parte finale per il ripasso forma.
La seconda lezione del pomeriggio si concludeva alle 18.00
Gusto il tempo di tirare un sospiro di sollievo per essere sopravvissuti un pomeriggio in più che era ora di riprendere in mano le ciotole e mangiare alle 18.30
Alle 19.00 lezione serale di un'ora. Ora...io ancora non ho capito come potessero i ragazzini mangiare una montagna di riso in mezz'ora e subito dopo fare acrobatica. Noi, quando decidevamo di impegnarci seriamente nella lezione serale, toccavamo a malapena cibo per evitare drammi dovuti alla mancata digestione.
Ovviamente finita la lezione serale era il momento tanto agognato della doccia (sì, la doccia la facevamo una volta al giorno perchè l'acqua calda era un super lusso e volevamo tenerla almeno per evitare di passare la notte lerci e quindi, sì, ci siamo abituati a girare come dei barboni sporchi e puzzolenti per la maggior parte della giornata).
Finita la doccia c'era la tappa fissa dal porcaro (dicesi porcaro il proprietario del "ristorante" - quello con una moto parcheggiata dentro - che faceva un maiale in agrodolce che era la fine del mondo). Verso mezzanotte rientravamo e in meno di 10 minuti eravamo già belli che pronti nei nostri letti. Si diceva qualche battuta sulla giornata, si rideva e poi il silenzio tombale quando, in ben pochi minuti, venivamo sopraffatti dalla stanchezza.
Questa è una giornata tipo lì alla scuola. Ci sono diverse varianti (ad esempio il mercoledì che è giornata di riposo, o il sabato che non c'è la seconda lezione della mattina), ma all'incirca le cose si svolgevano così.
(Meno male che non sapevo che cosa scrivere...)

Muretto/aiuola dello stretching

La mensa per stranieri

Interno del porcaro (notare la moto parcheggiata)

Esterno del porcaro (dettaglio sulla tavolata imbandita di cibo)

Cortile della scuola dal lato della mensa (la mensa è dietro quella porticina rossa)

sabato 17 settembre 2011

Neruda cit.

Muere lentamente quien no arriesga lo cierto ni lo incierto para ir detrás de un sueño, quien no se permite, ni siquiera una vez en su vida, huir de los consejos sensatos.

mercoledì 7 settembre 2011

Mal di Cina.

Quando l'ultimo giorno a Dengfeng Stefano mi aveva parlato del mal di Cina paragonandolo al mal d'Africa non avevo stentato molto a credergli, ma non avrei mai pensato che potesse essere uno stato così tragico. Dalla partenza dall'aeroporto fino ad adesso mi sono sentita un pesce fuor d'acqua. Ieri girovagavo per Milano, per l'università e mi sentivo sconcertata, triste, fuori luogo.
A raccontare poi cose sulla Cina mi rendo conto da sola che io non possa perorare la mia causa dal momento che gli aneddoti più divertenti da narrare sono quelli che riguardano ogni assurdità possibile come la follia dei cinesi, la sporcizia, le condizioni estreme nelle quali stavamo ed altre cose che non si allontano molto da questi esempi. Come far capire agli altri quanto invece possa mancare tutto questo?
Al di là dello sporco, della sopravvivenza, dell'avere un bagno funzionante, un letto con un materasso ci sono molte altre cose.
Ci sono le giornate passate là tutte perfette nella loro semplicità, le comunicazioni a gesti con i ragazzi della scuola, la fatica degli allenamenti, qualche acciacco, i ritrovi nel cortile.
Ci sono 3 settimane senza pensieri.
Un viaggio che capita in un periodo nel quale non so nemmeno io con precisione che cosa fare nella vita, se il lavoro, lo studio e nel caso che facoltà. Capita proprio quando non so che decisione prendere e l'unica decisione che mi viene in mente è che io tornerò là. Le altre scelte saranno una conseguenza di questo progetto.
Per 3 settimane ho fatto quello che volevo. Le mie giornate erano incentrate sugli allenamenti e questa cosa da sola potrebbe bastare. L'unica preoccupazione era quella di cercare del cibo al di fuori della mensa della scuola.
In realtà ci sarebbero molte altre cose da dire, ma per ora farò un breve riassunto del viaggio che poi magari snocciolerò con più precisione in diversi altri post.
L'impatto con la Cina è strano. Arrivati a Pechino siamo subito stati accolti da un caldo e da un'afa impossibili, poi c'erano tutte le novità, la stranezza di cose che io, non avendo mai viaggiato, non avevo mai visto.
In Cina ogni regola imparata nella vita viene cancellata, ogni comportamento, ogni regola del buon senso o di civiltà per intenderla come la intendiamo qua.
Dopo 3 settimane ancora non mi ero abituata alla guida dei cinesi. Sono completamente folli. Suonano sempre per ogni cosa comprensibile e non, la cosa stupenda è che tutti suonano ma nessuno tra di loro si calcola. Non si vedrà mai un automobilista alterarsi per una strombazzata, al limite lo si vedrà fregarsene senza nemmeno girarsi. Ho anche capito perchè per guidare in Cina la patente internazionale non è valida ma ce ne vuole proprio una cinese. Non rispettano nessuna regola stradale: sorpassano sulla destra, fanno inversione negli incroci, sorpassano negli incroci, partono tranquillamente in contromano, passano con il rosso, ignorano le strisce pedonali. Però vanno piano, in città difficilmente arrivano ai 50 e nella loro completa follia di guidatori hanno, suppongo, un senso perchè se in Italia si guidasse così per 5 minuti ci sarebbe una strage mentre loro sono tipo le formiche fanno queste cose senza creare il caos. Ho visto solo 3 incidenti nessuno dei quali gravi al massimo la macchina un po' rovinata ma mai gente per terra agonizzante. Paradossalmente uno dei 3 incidenti era una macchina della polizia stampata su un albero sul marciapiede. Dico "paradossalmente" non perchè si trattasse di una macchina della polizia ma per il fatto che si sia stampata su un albero su un marciapiede dal momento che gli alberi sono anche in mezzo alla strada senza alcuna segnalazione.
Le condizioni alla scuola erano le seguenti:
1- mangiare: il cibo prodotto dalla mensa (vabbè mensa è un parolone, la cucina anche se cucina è un po' eufemistico) era sempre lo stesso tranne qualche volta quando c'erano o i ravioli o i mian tiao (i noodles per intenderci), sul un tavolino trovavamo il riso (una volta ogni tanto c'era quello fresco per il resto quello riscaldato) e il pane molliccio e gommoso, sui tavoli dove ci sedevamo noi c'erano 3 piatti uno con uova e altre cose non ben definite, gli altri 2 con verdure cotte di varia e dubbia provenienza. Noi arrivavamo con la nostra scodella e le bacchette e prendevamo il riso poi ci si sedeva e si mettevano dentro le cose contenute nei piatti e quello era il pasto. A pranzo e cena ogni giorno della settimana c'era sempre questo menù. La mattina, rifiutandoci di mangiare riso, restavamo in stanza e attingevamo alla nostra scorta di biscotti per la maggior parte delle volte composta dagli oreo che erano gli unici umanamente definibili buoni.
Molto spesso ci rifocillavamo fuori o quando non ne potevamo più della mensa o quando morivamo di fame perchè il secondo allenamento serale finiva alle 18.00 e la cena era alle 18.30 poi c'era l'allenamento serale quindi dopo la doccia non era strano cominciare ad avere nuovamente fame e quindi tappa al porcaro. Il porcaro (definito così perchè il piatto forte era il maiale in agrodolce) è un...ehm..."ristorante" (in realtà un bugigattolo con mille cose dentro) di fronte alla scuola. Ogni volta che ci vedeva preparava in un nonnulla un tavolo fuori per noi. Quando chiedevamo il pollo la moglie partiva con la moto, tornava dopo tempo x e in 5 minuti avevamo il nostro pollo. Non abbiamo mai capito la dinamica dei fatti.
Per il resto il fattore cibo è stato tragico nei primi giorni quando ancora non si faceva attenzione ad assicurarsi che non ci fosse il piccante. Il piccante lì non è quello tradizionale che intendiamo noi, è una cosa speziata che messa sui vari cibi li rende tutti omogenei con lo stesso orrido sapore.
2- dormire: il letto era un'asse rettangolare in legno con quattro piedini per tenerla rialzata da terra e foderata con qualcosa in tela dagli strani disegni, sopra c'era una trapunta con uno spessore di si e no 1,5 cm coperta malamente da un lenzuolo. In più veniva fornita una coperta nel caso in cui facesse freddo. Ovviamente nelle giornate calde la coperta andava a far spessore, ma con il freddo era impossibile e quindi si dormi praticamente sul legno. Il primo giorno una tragedia mi sarò svegliata 8 volte nella notte con dolori ovunque così come il secondo giorno, poi con gli allenamenti la stanchezza era tale che non ci si faceva più caso ed anzi, il letto era una meta molto comoda e ambita. Io ero in una camera di lusso (nel senso che era dotata di bagno sebbene non del tutto funzionante) insieme ad altre due persone. In realtà la stanza sarebbe stata una doppia ma abbiamo fatto aggiungere un letto per non dover rimanere nell'appartamento per stranieri. Spazio vitale molto ridotto, quindi.
3- bagno: cercando di escludere a priori l'opzione latrine ci siamo dovuti bene o male adattare in qualche modo. Il bagno lo condividevamo con chi non lo aveva in stanza quindi la mattina e la sera c'era la processione. Tuttavia avere il bagno non significa per forza essere dotati di ogni comodità possibile. Abbiamo scoperto 2 cose: le zanfate mortali che salivano dal gabinetto erano direttamente proporzionale a due fattori ovvero all'aumento del caldo e al numero di secchiate tirate ne gabinetto (perchè ovviamente lo sciacquone non andava). La soluzione alternativa ed obbligata è quindi stata: gabinetto solo per bisogni solidi con tanto di tavoletta asportabile per non sporcarla con le secchiate d'acqua. I ragazzi urinavano nel lavandino e noi ragazze in una bacinella che poi pulivamo regolarmente. La carta igienica si buttava in un sacchetto per diminuire la percentuale di rischio di intasamento.
4- doccia: la doccia era comune. In realtà i ragazzi cinesi non la possono usare è quella per stranieri e i Jiaolian. I ragazzi si lavavano a secchiate ed una volta alla settimana venivano portati a docciarsi non so dove. In realtà approfittavano della presenza di tanti stranieri per docciarsi con noi. Dicevo, le docce in comune. Stanza con 3 docce e due lavandini lunghi come le due pareti laterali. Avere l'acqua calda era motivo di gioia. Infatti durante le giornate di pioggia non potevamo nemmeno sperarci visto che si scaldava con il sole. C'era da fare attenzione al livello altrimenti dopo un tot diventava ghiacciata. Sfortunatamente le docce erano anche una versione alternativa del vaso da notte per i ragazzi che non avevano nessuna voglia di andare fino alle latrine. Ogni tanto aprendo la porta arrivavano delle zanfate mortali.
Per docciarci partivamo con la nostra bacinella con dentro dicciaschiuma, shampoo, spazzola, accappatoio ed una volta lì si cercava di non far trasbordare nulla dalla bacinella.
5- lavaggio vestiti: esiste una lavanderia ovvero una ex latrina ripulita (più o meno) con dentro una lavatrice. Più che una lavatrice è un giocattolo. Ha due scompartimenti: uno dove si fa la centrifuga e uno dove si strizzano le cose. Si arrivava, si buttavano i vestiti nel primo scompartimento poi con un tubo attaccato ad un rubinetto ci riempiva pazientemente il tutto con l'acqua, si metteva il detersivo e per "ben" 15 minuti la lavatrice faceva il suo lavoro. Finito il tutto si estraevano i vesti e con un fantastico gioco di squadra uno li sciacquava sotto il rubinetto per togliere il detersivo ed un altro li strizzava alla buona per evitare drammi dentro lo strizzatore all'avanguardia. Poi si tornava in stanza e si appendeva il bucato al filo precedentemente installato.
Queste le basi fondamentali della situazione.
Vedrò di approfondire i seguito altre cose. c'è molto da raccontare su questo viaggio!